Psicoanalisi e contemporaneità

Remake del “noir” americano (nel film ci sono tutti gli ingredienti di questo sottogenere del giallo: dalla dark lady dai desideri inquietanti, al detective tormentato e perdente alla Philip Marlowe, dalla torbida Los Angeles con i suoi poliziotti corrotti e i suoi personaggi arroganti e perversi, al conflitto tra l’ordine costituito e la difesa delle sue vittime), Chinatown intreccia quattro filoni narrativi:
Un film sul capitalismo: quello descritto da Max Weber (come suggerisce il capitalista Noah Cross col suo nome) e quello assoluto, svincolato da ogni limite, da ogni legge, che si affaccia negli anni ’70.
Un film su Freud: Chinatown si apre con l’immagine di un coito (scena primaria), la cui visione verrà punita con la castrazione del protagonista (figlio) da parte del regista (padre); coniuga incesto e isteria; intreccia nevrosi e coazione a ripetere; mette in scena il padre dell’orda primitiva di Totem e Tabù, un maschio alfa incestuoso che rivendica il possesso di tutte le donne.
Un film sui limiti della cultura americana, di un sapere in grado di rappresentare il disagio e l’inquietudine provocati da una società brutale, ma incapace di coglierne le dinamiche strutturali.
Una riscrittura dell’Antigone sofoclea – figura estrema del desiderio (Lacan), eroina che contrappone la legge delle famiglia alla legge della polis (Hegel) – ambientata da Polanski nella degenerata Chinatown.
Quattro tematiche che nel finale si saldano tra loro: Cross si rimpossesserà della figlia-nipote consentendo la riproduzione del ciclo capitalistico; Evelyn-Antigone soccomberà; la pulsione di morte troverà espressione nella coazione a ripetere di Gittes; Gittes, cercando un complice nella polizia corrotta (Escobar), dimostrerà fino all’ultimo di non afferrare il funzionamento del capitalismo; la folla di cinesi-alieni, testimoni dell’omicidio, ribadirà l’assoluta estraneità sociale, quale unica condizione di vita in Chinatown.